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L’economia circolare in agricoltura: sogno o necessità

L’Europa, si sa, ha l’ambizione di farsi capofila mondiale in un settore: quello della sostenibilità. In questo contesto, nasce il progetto ACE-EX, finanziato dal programma Erasmus+, che punta a trasformare il settore agricolo europeo rendendolo un modello di economia circolare. E qui non si parla solo di pannelli solari o agricoltura biologica, ma di sfruttare al massimo ogni sottoprodotto della produzione agricola per restituirgli una nuova vita e, possibilmente, un nuovo mercato.

L’idea è interessante e suona quasi futuristica, ma è tutt’altro che semplice. Il progetto si concentra su settori come l’olio d’oliva, il vino e i cereali, cercando di formare figure professionali che, in teoria, dovrebbero guidare le aziende agricole verso un modello produttivo meno dispendioso e più ecologico. Un obiettivo che si scontra con la realtà dei fatti: le competenze richieste da queste aziende per diventare circolari sono rare, la formazione inadeguata e l’investimento iniziale troppo alto per molte imprese.

Eppure, esempio virtuosi ce ne sono. In Repubblica Ceca, ad esempio, l’olio viene estratto dai vinaccioli, trasformando uno scarto del vino in un nuovo prodotto. In Italia, gli impianti a biogas recuperano energia dai rifiuti agricoli, mentre in Norvegia la colza biologica cresce senza pesticidi. Pratiche che dimostrano come la circolarità sia possibile, certo, ma sempre all’interno di contesti fortemente regolamentati e sovvenzionati. E qui sorge il primo grande dilemma: la sostenibilità è solo per chi se la può permettere?

Secondo il report ACE-EX, il problema non è solo economico. Ci sono altri ostacoli, come la lentezza normativa, la mancanza di competenze specifiche e, diciamolo, una buona dose di diffidenza nei confronti del cambiamento. Gli agricoltori italiani, per esempio, vedono spesso questi modelli come qualcosa di complicato e poco accessibile, soprattutto per le piccole realtà. E poi c’è il problema della domanda: chi comprerebbe un prodotto “circolare” e sarebbe disposto a pagarlo di più? Il mercato è pronto? Forse sì, ma non ancora del tutto.

Il progetto ACE-EX ha però il merito di spingere una riflessione che non possiamo più rimandare. Se davvero vogliamo ridurre l’impatto ambientale e fare della sostenibilità una scelta competitiva, dobbiamo investire nella formazione di figure competenti e qualificate. In altre parole, serve creare una cultura della circolarità, che vada oltre la singola buona pratica o il finanziamento europeo. È una scommessa che ACE-EX sta cercando di giocare, con l’ambizione di dimostrare che un’agricoltura più circolare può davvero funzionare. Il percorso è lungo, e il rischio è che resti un’idea affascinante, ma confinata a quei pochi casi di eccellenza che, senza il contesto giusto, rischiano di rimanere isole felici in un mare di linearità.

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